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La Storia


 

 

Messina tra leggenda e storia

 

1847-1854

L’assunzione di Pio IX al pontificato aveva resi più arditi i patrioti italiani e faceva sperare in tempi migliori. Da un accordo tra liberali di Sicilia e Calabria nell’agosto del 1847 si stabilì che una rivolta doveva scoppiare simultaneamente a Messina e Reggio. La data fu fissata per il 2 settembre. Gli avvenimenti però precipitarono e i rivoltosi mossero il 1 settembre 1847 da più punti della città al grido di Viva l’Italia sventolando il vessillo tricolore. Gli attacchi furono brevi e violenti. L’eroismo ed il coraggio degli insorti però ben presto fu represso dalle forze borboniche più e meglio armate.

    Da Messina partì il generoso e glorioso tentativo di insurrezione sotto il quale rimase più tardi schiacciata la potenza borbonica. Ci narra il Guardione che dopo le otto la città rimase in pieno squallore, pattuglie numerose dei borboni la dominavano e le famiglie dei rivoltosi tremanti stavano chiuse dentro le loro abitazioni.

    Messina dunque il 1 settembre aveva segnato la data della rivoluzione siciliana. A preparare il movimento furono alcuni valenti uomini di spirito, ardore e coraggio: Paolo Restuccia, Nicolo e Salvatore Bensaja, Filippo Bartolomeo, Gaetano Sciva,  Antonio Caglia Ferro, il prete Krimi Giovanni, Francesco Saccà, Luigi Micali, i f.lli Novi, Giovanni Nesci, Santantonio Antonio, Domenico Piraino, Onofrio Giuliani, Pietro e Tommaso Landi, Gaetano Grano, Antonio Pracanica e molti altri che in tutto formarono 5 squadre.

Gli arresti tra i messinesi iniziarono nella tarda notte, fu imprigionato l'indomito Sciva, per supposizione di aver tirato un colpo di fucile contro il comandante della Marina; il prode Giovanni Grillo; Gaetano Grano, Domenico Piraino, il Barono Gordone, il Barone Sofia e molti altri. Ma come scrive il La Farina, chi soffrì le maggiori pene fu il sacerdote Giovanni Krimi insieme ad altri del clero peloritano. Chi invece era scampato agli agguati e alla prgionia si rifugiò nelle vicine campagne e qui trovarono da parte dei residenti dei villaggi grande ospitalità, conforto ed assistenza. Intanto a tal proposito il Generale dei Borboni Landi dava grosse taglie sulle teste degli insorti. Nessuno però fece denuncia, nessuno stese la mano all'infame prezzo del sangue. Molti morirono lo Sciva, il Grillo,l'abate Krimi deceduto nelle carceri e moltissimi altri,  ma il coraggio dei messinesi non si fermò.

    Messina era considerata la chiave dell’isola, per cui le cure del governo si rivolsero ad essa e il 25 gennaio 1848 il generale borbonico Nunziante per intimorire il popolo e sedare l’agitazione faceva schierare sulla Via Ferdinandea, oggi Via Garibaldi, tutta la fanteria e l’artiglieria reale. Ma vista la risolutezza dei messinesi a fronteggiare e tenere testa al nemico il generale ordinò la ritirata. IL 28, trecento cittadini fra i più ragguardevoli per nobiltà e patriottismo riunitisi nella sala della Borsa, costituivano un comitato rivoluzionario e questo il giorno appresso emanava codesto proclama: "All'arma i Messinesi. Ecco il giorno da voi tanto sospirato! Siete ormai tutti armati e organizzati...Messina che dié prima il segno dell'insurrezione finisce in questo giorno la grande rivoluzione siciliana...Cittadini Cristiani! Non offendete senza essere offesi, non ferite se non siete provocati. Ai miseri che si arrendono aprite le vostre braccia. I prigionieri siano rispettati e custoditi. Vincete, ma ricordate che lo spargere sangue inutile è un delitto...Confidate in quel Dio che sperde come polvere gli eserciti degli oppressori, confidate nella nostra Madre della Lettera, che ha sempre dato vittoria a noi Messinesi, sopra la vile turba gregaria, su nazioni possenti....Viva la Madonna della Lettera, Viva la Sicilia" Alla Vittoria, Alla Vittoria!" 

 La mattina del 29 un gran numero di cittadini scesero in piazza armati e fecero sventolare la bandiera tricolore. Ma la battaglia che passerà maggiormente alla storia è quella del forte di Porta Real Basso che ancora in possesso ai Borboni sparava biglie e polvere da sparo contro la città. Il popolo iniziò sparando con un vivo fuoco di fucileria. Alle 23 la truppa irruppe nella città e fu ingaggiata una aspra battaglia alla marina,(dove oggi c'è il Viale della Libertà che da quell'evento prende il nome)  ma anche sulla Strada Austria(oggi Via I settembre) e ai Pizzilari. I regi vinti, riuscirono a stento a ritirarsi nel campo trincerato di Terranova. il 30 si arrese il Forte di Roccaguelfonia, il primo febbraio quello del Gonzaga, restavano solo il Santissimo Salvatore e quello di Porta Real Basso alla marina.

 

Breve parentesi, le lusinghe borboniche nei confronti di Messina, così ardimentosa non mancarono e Messina dimostrò ancora la sue fierezza e onesta, così come accade nel 1282 per i Vespri, i dominatori borboni promisero a Messina che se avessero ritirato le loro truppe, una volta caduta Palermo l'avrebbero rinominata Capitale della Sicilia così come al tempo degli spagnoli. Ma i messinesi non avrebbero mai tradito la sorella Palermo e così i rivoltosi messinesi attaccarono il nemico gridando ancor più di prima "Viva Palermo, unione con Palermo".

 

Arrivò anche la caduta del forte di Real Basso, il 21 febbraio e  l'eroe di quel giorno fu proprio il già citato Giuseppe Bensaja che morì in nome della libertà, il Crescenti nella sue Istorie Messinesi ci scrive che il Bensaja insieme ad altri prese una scala la gittò nel fossato del forte di Porta di Real Basso (attuale Piazza Vittoria che da quell'accadimentro prese il nome), la rizzò dopodiché ci montò sopra e raggiunse la parte più alta del muraglione e con maestria guerriera si fece spaziò con la baionetta e con i coltelli Così ormai vittorioso era apparso sugli spalti del forte, vi aveva battuto l'odiata bandiera borbonica, e stava per issare quella Italiana dai tre colori, ma in quel preciso momento una palla lanciata dai cannoni del S.Salvatore, gli portò via il capo e il corpo gli fece ruotare nell'aria e cadere giu. Mori per la libertà proprio mentre stava issando il vessillo che fu poi collocato definitivamente dagli altri incursori che dietro di lui si erano stipati: i f.lli Verdura, Francesco Mulfari, i fratelli Spinella, Letterio Marangolo, Giovanni Cannistraci, Nino Rombes, Costantino Alessi, Giovanni Ungaro, Nino Grioli, Ferdinando Agresta, Antonio Jonata ed anche tra questi due ci lasciarono la pelle, ma non il coraggio, i valorosi, Marangolo e Cannistraci, ma gli altri non desistettero finché la bandiera non fu piantata nel forte. I regi scapparono, buttarono le armi e si arreserò. I messinesi che avevano ascoltato con animo cristiano il proclama fecero come si erano ripromessi e i borboni vinti furono accompagnati in comodi alberghi dal popolo esultante e gridarono anch'essi pensate: W la Sicilia.

Per chi volesse sentire quei moti dell'animo una targa ricorda quell'avvenimento, essa si trova precisamente, sulla facciata sud della Scuola Ernesto Basile (alias Dante Alighieri), a Piazza Vittoria.

I regi ormai erano stati scacciati dalla città e l'unico forte in loro possesso era rimasto quello del Santissimo Salvatore nel ricurvo braccio di S.Raineri. Ecco che non possiamo non menzionare l'eroica famiglia Bensaja, i popolani Antonio Lanzetta e la cannoniera Rosa Donato. Intanto che a Messina la guerra continuava animosamente a Palermo fu costituito il Governo alla cui testa veniva messo il patriota Ruggero Settimo.

Ed una canzone si sollevava fiera e forte dal popolo:

 

La cittadella 'nfamia

E' china di cannuneri:

Cci 'ppizzamu li banneri

e vulemu la libirtà!

la libirtà!

Spara lu forti 'ill'Andria,

Spara la culumbrina;

si campava Maria Cristina Nni dava la libirtà!

la libirtà!

Spara lu forti 'ill'andria,

Spunna lu Salbaturi;

La bannera di tri culuri

E vulemu la libirtà!

la libirtà!

 

 

 Per l’eroismo dimostrato Messina suscitava le simpatie e l’ammirazione dell’intera Sicilia. Il 31 marzo i rappresentanti della città: Giuseppe Natoli  e Giuseppe La Farina presentavano alla Camera dei Comuni una mozione perché fosse restituito a Messina il Porto Franco tolto con la frode nel 1784 dal governo che si combatteva e che la bombardava. La richiesta fu approvata con voto unanime.

    Intanto il Borbone preparava un attacco contro Messina, era il 3 settembre. La battaglia fu violenta e feroce. I Borbonici della Cittadella bombardarono Messina per otto mesi. Ferdinando II si guadagnò così il soprannome di "Re Bomba".

    In quelle fasi di lotta si distinsero dei giovani volontari detti Camiciotti che dopo avere combattuto in un feroce corpo a corpo con i soldati, per non cedere al nemico preferirono uccidersi lanciandosi nel pozzo del convento della Maddalena. Quel pozzo c’è ancora e si trova nel cortile dell’odierna casa dello studente. I nomi di costoro meriterebbero di essere incisi a caratteri d’oro nella storia del Risorgimento italiano ma è dato conoscere il nome di solo sette di essi: Antonino Bagnato, Carmelo Bombara, Giuseppe Piamente, Giovanni Sollima,  Diego Mauceli, Pasquale Danisi, Nicola Ruggeri. Altro eroe di questa rivoluzione fu Antonio Lanzetta, che per le sue azioni di eroismo fu dichiarato benemerito della Patria e gli fu dato il grado di capitano d’artiglieria.

    Messina indomita cadeva l’8 settembre 1848 dopo 5 giornate di disperata difesa e di sforzi sovrumani.

    Le pagine della storia si tinsero di rosa grazie all’eroismo e al coraggio di Rosa Donato simbolo di audacia e abnegazione.

    Il 20 agosto del 1854 si sparse la notizia che due persone erano morte di colera in modo fulmineo. Nei due giorni seguenti molti altri casi furono denunziati al Municipio. Non c’era più alcun dubbio: il terribile flagello aveva invaso la città. Gli storici non sono concordi sul numero dei morti, c’è chi dice siano stati 15.000 altri parlano di 20.000, ma l’annalista Gaetano Oliva parla di non meno di 30.000 morti. Dopo il 31 agosto la violenza del contagio cominciò ad attenuarsi sempre più fino alla fine di settembre, mese in cui il morbo scomparve completamente. La malattia lasciò uno strascico di miseria, di ferite profonde  e di disperazione.

    Messina ancora una volta seppe risollevarsi anche da questa ennesima prova.

 

                 Prefazione          

              40 a.C.-1233 d.C.          1250 d.C.-1571 d.C 

                1595 d.C.-1708 d.C.       1713 d.C.-1783 d.C.     

             1847 d.C.-1854 d.C.       1858 d.C.-19.. d.C. 

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